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DIFFAMAZIONE E VIOLAZIONE DELLA PRIVACY AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Durante questa lunga ed interminabile quarantena sembra che molti cittadini si siano improvvisati investigatori privati. Armati di smartphone, infatti, questi detective di nuova generazione, si affacciano dai propri balconi per fotografare l’ignaro vicino di casa, sorpreso mentre transita con la propria autovettura nella pubblica strada per andare a lavorare o fare la spesa, oppure mentre è intento a portare a spasso il proprio cane o a fare attività motoria nei pressi della propria abitazione. In tal modo, sui social network si moltiplicano post e fotografie che ritraggono coloro che spesso vengono illecitamente qualificati quali “trasgressori delle disposizioni governative”, se non addirittura offesi con frasi alquanto“colorite”. Molto spesso è possibile distinguere i volti dei predetti “trasgressori” e identificare i presunti colpevoli, altre volte è ben visibile la targa dell’autovettura utilizzata per le presunte violazioni delle misure di contenimento, altre ancora si riconoscono strade, numeri civici e abitazioni.

Alcuni assistiti ci hanno segnalato anche l’esistenza di veri e propri gruppi di whatsapp e facebook creati ad hoc per segnalare eventuali e presunte inottemperanze della normativa anticoronavirus da parte dei cittadini.

È bene ricordare che nemmeno in casi di emergenza la normativa in materia di privacy consente la diffusione di dati personali senza il consenso dell’interessato. Eventuali violazioni delle misure di contenimento oggi vigenti in materia di coronavirus, infatti, potranno al più essere segnalate direttamente alle Forze dell’Ordine competenti, che provvederanno a verificare le segnalazioni ricevute ed, eventualmente, ad identificare le persone oggetto di segnalazione.

Ad ogni buon conto, chiunque veda la propria immagine diffusa sui social network o qualsiasi elemento che possa portare alla propria identificazione (per esempio la targa di un autoveicolo e/o numero civico ecc.) diffuso senza il proprio consenso, oltre a domandare l’immediata rimozione delle fotografie o dei post che lo riguardano direttamente, può sporgere denuncia-querela dinanzi alle competenti Autorità per diffamazione aggravata nei confronti di chi ha pubblicato la fotografia e di tutti coloro che hanno aggiunto anche meri commenti ritenuti offensivi e/o diffamatori.

Occorre, infatti, considerare, come riportato nel nostro articolo precedente “Diffamazione sui Social Network”, che la Suprema di Corte di Cassazione (Sezione V Penale, sentenza 6 settembre 2018 n. 40083) ha recentemente ritenuto che diffondere frasi offensive tramite social network e, in particolare, tramite la bacheca di facebook, costituisce diffamazione aggravata dall’utilizzo della pubblicità, in quanto trattasi di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di persone. È bene rammentare, inoltre, che qualsiasi dispositivo telematico è dotato di un indirizzo IP privato che consente l’identificazione dello strumento informatico che viene di volta in volta utilizzato, anche qualora venisse utilizzato un profilo creato ad hoc.

In conclusione, diffondere sui social network post e/o immagini che ritraggono cittadini che vengono illecitamente denominati quali “trasgressori anche presunti delle disposizioni governative” o addirittura gravemente ingiuriati, potrebbe integrare il reato di diffamazione aggravata di cui all’art. 595 c. 3 c.p. e, alle condizioni sopra previste, oltre a rappresentare una violazione della normativa in maniera di privacy.

In ogni caso, in questo periodo di grave emergenza sanitaria, è sempre raccomandabile, da parte di tutti, un comportamento ispirato al buon senso ed al rispetto del prossimo e delle regole.

Per maggiori informazioni potrete contattare lo studio legale, inviare una email all’indirizzo: avv.surace@gmail.com oppure compilare il sottostante form.

MISURE URGENTI IN MATERIA DI CORONAVIRUS E CONSEGUENZE PENALI IN CASO DI INOTTEMPERANZA

Come è noto, in seguito alla grave epidemia da coronavirus che si è diffusa nel nostro Paese, il Presidente del Consiglio ha dapprima esteso le disposizioni vigenti per le cosiddette “zone rosse” a tutto il territorio nazionale, per poi emanare ulteriori disposizioni più restrittive.

La regola generale da rispettare è quella di “stare a casa” almeno dal 10 marzo fino al 3 aprile, salvo proroghe successive, che purtroppo a nostro avviso saranno necessarie viste le ripetute violazioni della normativa da parte dei cittadini. Anche gli scriventi difensori ribadiscono che l’invito a stare a casa è necessario per ridurre ai minimi termini la diffusione del contagio, dal momento che le terapie intensive dei nostri ospedali sono quasi tutte sature.

In particolare, il D.P.C.M. 9 marzo 2020 ha previsto che gli spostamenti delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale non fossero consentiti se non per:

– comprovate esigenze lavorative,

– situazioni di necessità;

– motivi di salute;

– necessità di rientrare presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Successivamente, dopo pochi giorni, il quadro normativo è mutato nuovamente, contribuendo a generare nella popolazione un comprensibile stato confusionale. Infatti, con il D.P.C.M. 22 marzo 2020 è stato introdotto il divieto assoluto per tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”. Pertanto, conseguentemente, non è più consentito nemmeno “il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. Inoltre, in ogni caso, ogni spostamento deve essere giustificato dalle predette esigenze e certificato tramite l’apposito modello di autodichiarazione disponibile sul sito istituzionale del Ministero dell’Interno all’indirizzo: www.interno.gov.it/speciali/coronavirus.

Si consideri, altresì, che l’art. 4 c. 2 del D.P.C.M. del 9 marzo 2020 prevede che in caso di inosservanza delle disposizioni urgenti dettate in materia di coronavirus e, salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applichi ai trasgressori l’art. 650 c.p. che dispone: “chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a Euro 206,00”.

Nei giorni scorsi dai mass media è stata diffusa la notizia, che, soprattutto in Regione Lombardia, moltissimi cittadini sono stati denunciati per aver violato l’art. 650 c.p., ovverosia per aver lasciato il proprio domicilio senza aver giustificato dinanzi agli agenti accertatori una comprovata necessità di allontanamento temporaneo dalla propria abitazione e per aver violato l’art. 495 c.p., vale a dire per aver reso false informazioni agli operanti.

Per quanto concerne il reato di cui all’art. 650 c.p. è bene precisare che trattasi un reato contravvenzionale che prevede come pena alternativa alla pena pecuniaria l’arresto, che non deve essere confuso con una mera sanzione amministrativa (come quelle previste dal codice della strada). Pertanto, è opportuno che l’indagato nomini, se non direttamente dinanzi agli agenti accertatori, un difensore di fiducia al più presto, in modo che possa essere assistito nel conseguente procedimento penale o che prenda contatti con il difensore di ufficio che verrà nominato qualora non si avvalga della predetta facoltà di nominare un difensore di fiducia. Il difensore valuterà con il proprio assistito la migliore strategia da adottare nel caso concreto, che potrebbe comprendere il deposito di scritti difensivi e/o la richiesta di oblazione, ex art. 162 bis c.p. (che costituisce una causa di estinzione del reato che prevede il pagamento della metà del massimo dell’ammenda per i reati contravvenzionali puniti alternativamente con pena pecuniaria o detentiva).

Quanto, invece, al reato di cui all’art. 495 c.p., si precisa che nei giorni scorsi molti cittadini, secondo quanto dichiarato dai mass media, avrebbero comunicato agli agenti incaricati di effettuare i controlli sul territorio di doversi spostare per motivi di salute, per esigenze lavorative o per altre necessità, quando invece queste condizioni non sussistevano. Costoro, pertanto, sono stati denunciati per il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale, ex art. 495 c.p., che è punito con la reclusione da uno a sei anni. E’ necessario segnalare che è lo stesso dichiarante che con la sottoscrizione della autocertificazione fornita dal Ministero dell’Interno attesta di essere “consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale ex art. 495 c.p.”. Anche in tal caso, è opportuno che l’indagato nomini, se non direttamente dinanzi agli agenti accertatori, un difensore di fiducia al più presto o che prenda contatti con il difensore di ufficio.

Da ultimo, occorre rilevare che la violazione delle disposizioni previste dal D.P.C.M. potrebbe altresì configurare i più gravi reati di:

– resistenza a pubblico ufficiale, ex art. 337 c.p., che prevede la reclusione da 6 mesi a 5 anni;

– delitti colposi contro la salute pubblica (epidemia), ex artt. 438 e 452 c.p., che prevedono tre ipotesi di responsabilità graduate in base alla condotta e ai relativi effetti.

Per maggiori informazioni potrete contattare lo studio legale, inviare una email all’indirizzo: avv.surace@gmail.com oppure compilare il sottostante form.